Arte

Arte

Programmare è tecnica, è scienza. Ma è anche arte?

E' una domanda strana: accostare gli aspetti artistici, estetici, ad un campo razionale e freddo come quello della programmazione può sembrare un azzardo. Questo, per lo meno, è quello che pensa chi usa i computer senza saper cosa c'è dietro.

Eppure nel mondo degli informatici la parola "arte" si trova spesso vicino alla parola "programmazione": a partire dal monumentale "The Art of Computer Programming" di Donald Knuth, si trovano articoli, commenti, conferenze, come questa di Dylan Beattie

.

Certo, alcuni programmi appartengono al mondo dell'arte nel senso che producono risultati artistici, fruibili da umani come se fossero quadri o sinfonie (“computer graphics”, “computer music”). Per esempio, il programma TAUmus è stato scritto da Pietro Grossi nel lontano 1972 proprio per produrre musica con un IBM370.

Si può fare anche con la lingua? Si può fare "digital poetry"? Certamente: si può scrivere - ed è stato fatto - un programma che produca un testo poetico (in cui “poetico” significa che obbedisce a certi Vincoli, adeguato a questo o quel canone); o ancora un programma che produca infiniti testi poetici, come Tape Mark I di Nanni Balestrini. Viene polemicamente rotto il legame tra poesia e poeta, tra estetica e creatività individuale, per sottolineare invece gli aspetti formali, universali, meccanici, ripetibili della poesia.

In realtà moltro spesso i software producono testi: traducono un testo da una lingua naturale ad un'altra, estraggono informazioni da una pagina web e scrivono riassunti, traducono un codice sorgente da un linguaggio di programmazione ad un altro. Una poesia, per un software, è solo una caso particolare di testo che va costruito usando dei testi preesistenti (delle immagini, delle metafore, delle associazioni) e delle regole.

Ma in fondo anche lo scrittore umano fa la stessa cosa: usa riferimenti, citazioni, schemi di altri testi e li rielabora in un'opera nuova.

Ma al di là delle poesie digitali, è possibile parlare di un'estetica della programmazione come attività, indipendentemente dal valore artistico del prodotto?

Si possono scrivere codici sorgenti con un atteggiamento (degli obiettivi, delle tecniche, delle regole) che assomiglia a quello con cui si scrivono testi letterari? Si possono leggere dei codici sorgenti come se fossero opere d'arte?

Qui ci avventuriamo in un campo più complesso, e in questa stanza trovate alcuni tentativi di dare una risposta parziale. Prima di tutto andrebbe definito cosa intendiamo per "arte" e artistico, cioè di che tipo di qualità stiamo parlando, perché di sicuro non ne esiste una sola.

Ogni definizione di arte si basa su un certo valore che viene creato e riconosciuto pubblicamente. Se un oggetto è artistico, ha un valore; è in funzione di questo valore che quell'oggetto può essere venduto, acquistato, rubato, studiato, riprodotto.

Così è anche per il mondo dei codici sorgenti. Quello che fa assomigliare la scrittura del codice sorgente alla letteratura e ad ogni forma d'arte moderna è proprio l'essere parte di una cultura artistica, anche se poco conosciuta. I codici sorgenti, come le opere letterarie, vengono scritti da qualcuno in un certo linguaggio e con un certo strumento; vengono studiati, copiati, distribuiti. Ci sono scuole e modelli, stili e guerre di stile. Ci sono problemi di riconoscimento degli autori e problemi di conservazione degli originali.

Insomma, il codice sorgente può essere considerato opera d'arte perché l'attività umana che sta intorno alla scrittura dei codici sorgenti assomiglia a quella che sta intorno alla scrittura di romanzi o poesie, e in generale intorno alla produzione e al consumo delle opere d'arte.

In questo senso, la mostra che state esplorando - con le sue stanze che ricostruiscono contesti, presentano gli attori e illustrano gli strumenti - è proprio un tentativo di rispondere alla domanda iniziale di questa stanza: "la programmazione è una forma d'arte?"

Prossimo pannello:  Qualità